Le attese

Un po’ stancante, per un tipo di personalità come la mia, trovare “il mio posto”.
Almeno, che non sia un posto dell’attesa. La dimensione che conosco invece è quella ottativa, del desiderio, della proiezione, della punta della freccia che sta per andare, prima dello scoccare. Erro molti luoghi e molti progetti, ma tutti mi paiono sabbia fine, che scorre e sfugge dalla presa senza posa. Il mondo mi vuole solida, vuole farmi vetro e specchiarsi nei miei atomi. Io mi sento incline all’acqua che fugge, ai tramonti mai uguali a sé stessi, a quello sghembo latrare nella notte dei cani. L’impermanenza ha lo stesso sapore sanguigno della libertà. Invece, la forma! Essere una cosa sola, per un dato numero di ore, tutti i giorni, mi sa di condanna. Essere vista solo per le parti che “si incastrano” nei buchi alveari della società – e tutto il resto? Mi chiedo – Dove va a invanire ciò che sfugge? Ho dato un miele e completato caselle, ma i raminghi pellegrinaggi al fiore solo il vento li può custodire.
“Quod nihil esse superfluum”.

Diario del 16 novembre 2021

Ph. Diego Madrigal

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