Questione di soglie

Quanto mi sono sprecata e ho sprecato del mio bene per difendermi dal mondo.
Che uno dirà “Perché ti devi difendere?”.
Perché, al minimo oltraggio, tremo.
Sono troppo delicata, il mondo non è delicato come me. Sembra un raschiare perenne del ferro nella carne, ogni minimo tentativo di resistere alla presenza dall’altro. Odio le mani che afferrano anziché accarezzare. Odio le mani che prendono, anziché chiedere. E di chi ha fatto e preteso ho fatto uno stampo, un BIAS, li ho proiettati nel cielo come stelle e la loro luce inquina il mio andare – sempre nuda nel ventre scaltro della notte.
Sempre in pericolo, che siano fiocchi di cotone o spine.
Per ritrarmi e torcermi dall’antica ferita, ho prodotto una deviazione del legno – eppure resto un posto gentile.
Chissà quale virago o quale drago si attendono, da una fasulla fierezza. La mia non è fierezza, è eleganza. È delicatezza. È pacatezza. Ma non puoi veicolarla nel mondo perché il mondo è poco affine a chi è gentile. Acqua e olio – esistiamo in una bolla che sfugge al resto, al compromesso di squarciare una tenda, entrarvi dentro e vedere lo sciamano danzare – mentre fuori frigge la gabbia al neon per zanzare. Ci sono terreni che esistono solo quando sono al confine. Magici regni che stanno in un palmo di mano o un pantano. Una soglia sottile. Una piega nel velluto della notte. Farsi grinza. Farsi grinza e attendere, tra luce e nero, che si avveri il vero. Senza manto, senza inganno, sfuggire tramite un passaggio segreto del castello. Quanto bene sprecato per custodirlo oltre la soglia, ma forse è giusto che la soglia resti, a fare da ristoro per chi ha i sogni pesti e all’orizzonte vede schiumare capestri. Li vede ondeggiare come cipressi e si inganna. Si inganna il collo possa conoscere solo condanne o soltanto gioghi, l’oscena danza di chi pende, sconfitto dalla sguardo di chi prende. Prende, senza chiedere. Afferra, e non accarezza.
Quanto bene sprecato.

7 luglio 2021, diario

Foto di Julia Volk

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