Il soldatino di stagno: togliere l’uniforme e svelare il cuore

La fiaba di Hans Christian Andersen, “L’intrepido soldatino di stagno” o “Il soldatino di piombo“, resta una delle mie preferite di sempre.
Ho scelto di riprendere proprio da questa fiaba il mio podcast “Fiabando”, dopo mesi di inattività che comunque hanno visto il programma molto frequentato e scaricato (poco più di quattromila download per otto fiabe sul canale).

I motivi per cui ami questa fiaba sono tanti, anche se da piccola non mi potevano essere così chiari, soprattutto dopo aver approfondito l’aspetto psicoanalitico di certe storie (rimando ai testi di Bettelheim, von Franz, Estés). Innanzitutto, non è una fiaba a lieto fine e, da bambina malinconica, non avrei potuto preferire diversamente.
In secondo luogo, l’unione spirituale della ballerina e del soldatino simboleggiata da qualcosa di davvero profondo, intimo: il piccolo cuore di stagno e il lustrino. Terzo, il profondo rammarico per qualcosa che sarebbe potuto essere e non è stato.

Ora invece tendo ad osservare la fierezza del soldatino, il suo non volersi piegare ai sentimenti, alle debolezze. Sentendosi un soldato, peraltro un soldato diverso dagli altri perché gli manca una gamba, crede di dover dimostrare maggiore fierezza, maggiore coraggio e pertanto non chiede aiuto, non si ribella, non dichiara i propri sentimenti, ma li reprime violentemente dentro di sé.
Non ricorda un po’ quella cosa oggi chiamata “machismo tossico”? Quella idea per cui Boys don’t cry e tutte le menate che ne sono conseguite? A prescindere da come lo si voglia chiamare, me lo ricorda un bel po’: uomini, siete meravigliosi quando vi emozionate, quando piangete, quando confessate i vostri sentimenti e le vostre fragilità – ciò non vi rende meno uomini, anzi, vi rende più umani.

Secondo: la sindrome dell’impostore. Il soldatino, che si sente menomato, non si sente degno della ballerina perché non ha un castello. Non solo, oltre ad essere preso di mira dal troll (o “diavolino nero” in altre edizioni), viene delegittimato dal topo di fogna, che gli dà del clandestino.
Non è a suo agio nella scatola con gli altri commilitoni rispetto a cui è diverso, non si sente degno della ballerina, il troll conferma (“rinforza”) le sue intime credenze dicendogli che non può osare contemplare la fanciulla; non può appartenere nemmeno alle fogne, da cui è scacciato.
Tanto buio (la scatola, la tabacchiera – simbolo di insidia improvvisa? – la cloaca, il ventre del pesce), poi, infine, la luce, fino al giungere della fiamma.

Quando il ventre del pesce viene squarciato, io ho pensato a una seconda nascita, preannunciata dalla cascata in fondo al sistema fognario. La domestica-levatrice riconduce il soldatino nuovamente al banco di prova: il tavolo dei giocattoli.

Ha una nuova occasione. Ancora non partecipa ai giochi, però, come ancora non parla con il cuore alla ballerina. Resta a fissarla, con il suo “fucile in ispalla”, un habitus mentis perfettamente caratterizzato da Andersen.
Interviene allora l’influsso del Don Rodrigo di questa storia: per la banalità del male, i due vengono separati e, nel vivo della fiamma, il soldatino si sente sciogliere quell’uniforme (“aveva perso i colori”) che tanto castiga il suo cuore e per la prima volta può guardare con sentimento l’amata.
Che, per una sorta di giustizia poetica, per una forma di restituzione consolatoria per noi lettori, magicamente raggiunge l’amato e, accanto a lui, carbonio al carbonio, cenere alla cenere, uguali davanti alle loro differenze per la prima volta, si consuma e lascia dietro di sé l’oggetto-sortilegio con cui ci viene presentata. Accanto al cuore nudo del suo soldato.

[Mi sono lasciata prendere dall’enfasi, come al solito, ma amo troppo questa storia!]

Link all’episodio:

https://www.spreaker.com/user/9703330/il-tenace-soldatino-di-stagno-andersen

https://open.spotify.com/episode/7BaE31vyVsDKtVyC5YwJh2

Link al podcast:

Ascolta “Fiabando – Lettura di Fiabe ad alta voce” su Spreaker.

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